Scopri tutto sulle intolleranze alimentari: quali sono le più comuni, cause e sintomi, i test per diagnosticarle e come trattarle con l’alimentazione corretta
L’intolleranza alimentare (che non va confusa con l’allergia, vedi di seguito) si manifesta quando il corpo non riesce a metabolizzare (cioè a digerire) correttamente un alimento o un particolare elemento che lo compone, come nel caso dell’intolleranza al glutine (una sostanza proteica presente nel grano e in altri cereali) o al lattosio (lo zucchero del latte). Questo disturbo coinvolge quindi il metabolismo, non il sistema immunitario, come invece accade in caso di allergia.
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Le intolleranze alimentari, a differenza delle allergie, sono più diffuse e meno facilmente diagnosticabili. I loro sintomi infatti sono vari, non compaiono subito dopo aver mangiato il cibo non tollerato e sono tali da non far presupporre un problema del genere. Si pensi, per esempio, all’acne o alle dermatiti dell’intolleranza al lattosio, o alla caduta dei capelli tipica della celiachia (intolleranza al glutine). È quindi importante conoscere il problema e le strategie giuste per risolverlo. Ma prima vediamo uno schema pratico per differenziare le intolleranze alimentari dalle allergie.
Origine del problema
Sintomi
Diagnosi e trattamento
Le tre intolleranze alimentari più comuni sono:
Scopri se sei davvero intollerante a un cibo e come eliminare i disturbi intestinali e digestivi grazie al libro Le intolleranze alimentari, di Emilio Minelli.
L’intolleranza al lattosio, lo zucchero del latte vaccino, di capra, di pecora e di tutti gli altri mammiferi, è dovuta a una carenza dell’enzima lattasi nell’intestino tenue, il “luogo” dell’apparato digerente in cui il lattosio viene scisso per essere assimilato. L’intestino, infatti, non riesce a digerire il lattosio così com’è, e ha bisogno di scomporlo nelle sue componenti semplici e facilmente assimilabili, glucosio e galattosio.
Di solito, il lattosio una volta ingerito attraverso latte e derivati (formaggi, yogurt, burro non chiarificato, panna ecc.) arriva all’intestino tenue, dove trova la lattasi. Questo enzima svolge il suo lavoro di scissione finché tutto il lattosio non è stato trasformato in glucosio e galattosio.
Se la lattasi non basta a scomporre tutto il lattosio, la parte non scissa raggiunge il tratto finale dell’apparato digerente, ovvero il colon. Qui incontra i batteri che se ne nutrono. Infatti, poiché è uno zucchero, il lattosio “piace” alla flora batterica intestinale che, per nutrirsene, lo fa fermentare. Questo processo porta però alla produzione di gas e tossine, che diventano poi causa dei sintomi dell’intolleranza. Ecco i principali.
I sintomi possono variare da persona a persona e dipendono dalla quantità di lattosio consumato e dalla sensibilità individuale.
Dipende dal grado di tolleranza al lattosio, che non è uguale per tutti. In alcuni casi, infatti, una certa quantità può anche essere tollerata, quindi cibi come latte, yogurt e formaggi “delattosati” o minime quantità di latte e derivati al naturale possono essere tollerati. Ma se l’enzima manca del tutto, allora occorre eliminare tutti i prodotti che contengono lattosio (attenzione anche alle etichette, perché sono numerosi i prodotti industriali che lo contengono, come salse, zuppe, minestre, prodotti da forno e anche alcuni medicinali).
Il sospetto d’essere affetti da intolleranza al lattosio può derivare dalla comparsa di mal di stomaco, dolori addominali, stipsi, diarrea e di altri sintomi, di cui abbiamo già parlato. Ma come fare per capire se si tratta di intolleranza al lattosio vera e propria? Per accertarsi della sua presenza, si può fare il test “del respiro”, che viene eseguito anche presso alcune farmacie. L’esame del DNA, invece, ne indica la predisposizione.
In commercio puoi trovare latte, formaggi e altri latticini, come mozzarella, mascarpone, scamorza, ricotta e certosa, delattosati. In realtà in essi è presente una minima quantità di lattosio, e questo è un beneficio se l’intolleranza non è grave: eliminando del tutto tale sostanza, infatti, l’intolleranza peggiorerebbe; abituando invece il corpo a piccole dosi, l’enzima lattasi torna a essere prodotto dall’intestino e diventa più facile digerire il lattosio.
Il glutine è il fattore scatenante della celiachia (intolleranza al glutine). Si tratta di una sostanza proteica che caratterizza frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. In realtà non è direttamente presente nei chicchi, ma si forma quando viene aggiunta acqua al cereale o alla farina, per via della presenza di due particolari proteine, la gliadina e la glutenina. Sono proprio queste a formare il glutine. Altri importanti cereali come riso, mais, grano saraceno ecc. sono senza glutine e possono quindi essere impiegati in caso di celiachia, consentendo la prevenzione delle carenze nutrizionali.
I segni che indicano la possibile presenza di intolleranza al glutine sono assai numerosi. Ecco i principali.
Eliminare il glutine, completamente, ma solo dopo una diagnosi certa. Se lo si toglie dalla dieta prima di fare gli esami, potrebbero esserci falsi negativi che impediscono una diagnosi corretta. In molti casi, la celiachia si accompagna a intolleranza al lattosio. Nel caso, occorre eliminare anche questo dalla dieta.
È solo il medico che può fare una diagnosi di celiachia a seguito di specifici esami del sangue che, se danno esito positivo, richiedono poi una biopsia intestinale per avere la certezza della presenza del problema. Oggi è possibile fare anche l’esame del DNA, che indica la predisposizione a sviluppare celiachia.
Alcuni ricercatori italiani hanno scoperto che, trattando le farine di grano e di altri cereali vietati ai celiaci con un enzima naturale, si riesce a “ingannare” il sistema immunitario, che non percepisce più il glutine. In tal modo si possono preparare pane, pasta, dolci ecc. che hanno le stesse caratteristiche e lo stesso sapore dei normali prodotti glutinosi. Queste farine sono comunque controindicate se l’intolleranza è al grano.
L’intolleranza al fruttosio è una condizione che si verifica quando il corpo ha difficoltà a digerire o assorbire il fruttosio, uno zucchero presente naturalmente in molti alimenti, come frutta, verdura, miele e alcuni dolcificanti. Ci sono due forme principali di intolleranza al fruttosio: il malassorbimento del fruttosio (la forma più comune) e l’intolleranza ereditaria al fruttosio (una condizione rara e genetica).
Questa è la forma più comune di intolleranza al fruttosio. Il malassorbimento si verifica quando l’intestino tenue non è in grado di assorbire correttamente il fruttosio. Quando il fruttosio non viene assorbito nel sangue, passa nel colon dove viene fermentato dai batteri intestinali. Questo processo di fermentazione produce gas, che può causare vari disturbi gastrointestinali.
Ecco i sintomi più comuni del malassorbimento del fruttosio.
I sintomi possono variare da persona a persona e dipendono dalla quantità di fruttosio consumato e dalla sensibilità individuale.
La diagnosi del malassorbimento del fruttosio può essere fatta tramite test respiratori, in cui viene misurata la quantità di idrogeno nell’alito dopo l’assunzione di una dose di fruttosio. Un livello elevato di idrogeno suggerisce che il fruttosio non è stato correttamente assorbito nell’intestino tenue.
Gestione e dieta per il malassorbimento del fruttosio
La gestione del malassorbimento del fruttosio si basa principalmente su una dieta a basso contenuto di fruttosio. Le persone che soffrono di questa condizione dovrebbero limitare o evitare gli alimenti ricchi di fruttosio, eccoli di seguito.
Esistono alimenti che sono naturalmente a basso contenuto di fruttosio, come banane, fragole, arance, patate e riso, che possono essere consumati in sicurezza.
L’intolleranza ereditaria al fruttosio è una condizione genetica rara e grave che si manifesta generalmente nei primi mesi di vita. È causata da una carenza di un enzima chiamato fruttosio-1-fosfato aldolasi, che è necessario per metabolizzare il fruttosio.
In questa forma di intolleranza, il fruttosio che entra nel corpo non viene metabolizzato correttamente, causando l’accumulo di fruttosio-1-fosfato aldolasi, che può danneggiare il fegato, i reni e il sistema intestinale. La condizione può essere pericolosa se non viene trattata.
Ecco i sintomi tipici di questo tipo di intolleranza al fruttosio.
L’intolleranza ereditaria al fruttosio viene diagnosticata tramite test genetici e analisi biochimiche che misurano l’attività dell’enzima fruttosio-1-fosfato aldolasi.
L’unico trattamento efficace per l’HFI è una dieta rigorosamente priva di fruttosio, che deve essere seguita per tutta la vita. I pazienti con HFI devono evitare non solo la frutta ma anche molti alimenti trasformati che contengono fruttosio o sorbitolo, che viene metabolizzato in fruttosio nell’organismo.
Si ricorda infine che l’intolleranza ereditaria richiede una supervisione medica rigorosa per evitare complicazioni gravi, e che una dieta bilanciata e un’attenta lettura delle etichette alimentari sono fondamentali per evitare i sintomi e migliorare la qualità della vita.
Il lievito è un fungo e quello più usato è un saccaromicete, il Saccharomyces cerevisiae. L’intolleranza a tale elemento attualmente non viene riconosciuta da tutta la comunità medico-scientifica, che sostiene che i sintomi siano per lo più dovuti ai prodotti della fermentazione (processo di cui il lievito è uno dei maggiori responsabili) più che al lievito stesso.
I sintomi di questa intolleranza alimentare sono vari e differiscono da persona a persona. Ecco i principali.
Tali sintomi non caratterizzano solo l’intolleranza al lievito, pertanto è importante rivolgersi a un medico specialista, soprattutto se i disturbi persistono già da lungo tempo.
In questi casi la dieta a rotazione può essere la soluzione giusta, in quanto è utile sia per diagnosticare l’intolleranza sia per trattarla. Ed è molto semplice da mettere in atto, poiché basta eliminare i cibi lievitati per tre giorni consecutivi e reintrodurre una piccola quantità di uno di questi il quarto giorno; quindi si torna a tre giorni “puliti”, a seguire uno che preveda l’assunzione di un cibo lievitato e così via, per uno o due mesi.
In tal modo sarà possibile osservare se con la reintroduzione dell’alimento contenente lievito si sviluppano sintomi o meno. La stessa dieta a rotazione è il miglior trattamento di questo problema.
In questo caso non esistono esami “ufficiali” per individuarla con certezza, ma sintomi di vario genere che possono far pensare a un problema coi lieviti. Per scoprirla e trattarla può essere utile una dieta a rotazione (vedi sopra).
Oltre a pane, birra e vino, tutti lievitati (anche la fermentazione della birra e del vino è una lievitazione da saccaromiceti), occorre evitare il consumo di aceto (tutti i tipi, anche quello di mele), di yogurt e gorgonzola (contengono fermenti che nell’immediato potrebbero dare sintomi se l’intestino è già irritato dai lieviti citati), funghi (ricordiamo che i lieviti sono funghi), dado da cucina (contiene lieviti), ma anche dolci, cibi troppo grassi, fritti, fast food, bevande gassate e/o dolcificate anche con edulcoranti (ciclammati e simili), in quanto creano problemi alle mucose intestinali già infiammate.
Test del Respiro (Breath Test)
Test del Sangue (Test IgG)
Dieta a rotazione
Test di Biocompatibilità (Test da Bioenergetica)
Test genetici (per l’intolleranza al lattosio)