Separazione, fine di una convivenza, libera scelta: i figli stanno con la mamma che deve fare i salti mortali fra molti impegni. Come cavarsela?
Si tratta di un problema molto comune e denunciato da molte donne, specialmente in psicoterapia: dopo una separazione, la figura parterna latita, come se la disgregazione della struttura familiare (che esiste anche in caso di convivenza) li lasciasse smarriti, incapaci di mantenere il ruolo di padre. O meglio, lo riducesse ai minimi termini. Molti di questi padri passano i loro week-end con i figli, parte delle vacanze, probabilmente portano bei regali, ma spesso sono presenze sussidiarie, poco incisive, che lasciano la madre incastrata tra tante incombenze e responsabilità.
La legge non risolve la mancanza di affettività e certo non può imporla: un padre può essere anche costretto dal giudice a tenere il figlio con sé alcuni giorni, ad andare a prenderlo a scuola o ad accompagnarlo, ma se questi non riesce a mantenere l’intimità e la continuità affettiva indispensabile nel rapporto tra genitore e figlio, serve a poco. Certo occorrerebbe capire perché succede. Se in precedenza era un padre premuroso, che passava volentieri tempo con i bambini, è bene verificare che non siano i corti circuiti dei genitori, le ripicche recirpoche, i rancori irrisolti a essere gli elementi che impediscono di vivere il ruolo paterno in modo sereno. In questo caso, spesso la "colpa" non va attribuita esclusivamente a lui. Se invece anche prima della separazioneera la mamma a occuparsi in maniera quasi esclusiva dei figli, è difficile che il padre sia presente dopo.
I sensi di colpa trovano terreno fertile nelle donne. In quelle che rimangono da sole, ancor di più. “Ecco, non ce l’ho fatta a tenere insieme la famiglia. Ho scelto l’uomo sbagliato, non ho avuto pazienza, forse avrei potuto resistere finché i figli fossero stati un po’ più grandi...”. Da tutte queste “colpe” infondate nascono i tentativi di “riparazione”. “I miei figli non devono pagare i miei errori, farò di tutto perché siano felici”. A questo punto i bambini diventano il centro attorno al quale ruota tutta la vita della madre, i cui bisogni tendono a scomparire. Ma che cosa può offrire una mamma che si azzera ai suoi figli? Davvero poco.
Un figlio, finché non cresce, è un piccolo satellite che ruota attorno alla madre, dalla quale attinge energia, affetto, nutrimento. Non bisogna capovolgere questo ruolo mettendo lui al centro: lo si rende insicuro, spaventato, sovraccarico di responsabilità. Per questo è importante mantenere i propri interessi, curarsi, fare un minimo di vita sociale, preservare dei piccoli spazi tutti per sé. Non è impossibile ma occorre abbandonare il mito dell’onnipotenza e chiedere aiuto. Ci sono zii e nonni, le babysitter, le altre mamme. È importante non isolarsi, ma costruire una rete sociale di solidarietà femminile dove scambiare figli, favori, chiacchiere.
Uno dei timori della mamma single, soprattutto se la scelta di fare un figlio è avvenuta senza un compagno stabile, è quella che al bambino manchi un importante figura di riferimento. È un falso problema, i bambini sono bravissimi a individuare spontaneamente figure sostitutive. Ci sono zii, nonni, amici, conoscenti, insegnanti, persone cui scelgono liberamente di affezionarsi e di cui imitano scelte e atteggiamenti. Il timore che si crei una carenza è infondato e non va enfatizzato.
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