Un recente studio ha analizzato quali danni provoca l'ansia cronica al cervello e al corpo, scoprendo nuovi legami fra stress, depressione e salute psicofisica
Da tempo i ricercatori di area clinica indagano sulle relazioni che ci sono tra lo stress ed i disturbi emotivi come ansia cronica e panico. È noto che esista un legame che va nelle due direzioni: lo stress ci può indurre episodi di ansia, ma anche l’ansia, soprattutto quando non riconosciuta e non trattata, può indurre nel nostro corpo e nel nostro cervello uno stress che li sottopone ad un “lavoro eccessivo” e alla lunga debilitante.
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Un gruppo di ricercatori del Rotman Research Institute at Baycrest Health Sciences, in Canada ha recentemente pubblicato una revisione di studi che hanno esaminato le aree cerebrali che vengono solitamente attivate quando proviamo ansia, paura o stress. In primo luogo è emerso che le stesse aree che si attivano quando affrontiamo una di queste situazioni sono sovrapponibili a quelle che vengono coinvolte da malattie come la depressione o la demenza di Alzheimer. Esiste quindi una correlazione “geografica” fra stati acuti di stress e di ansie e la comparsa del disagio psichico se non addirittura di patologie degenerative del sistema nervoso.
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Ma quando preoccuparsi? Se certe “dosi” di ansia, paura e stress fanno parte della vita di tutti i giorni, il problema è la frequenza e l’intensità con cui si presentano nella nostra vita: quando queste reazioni emotive diventano croniche, allora non solo possono interferire significativamente con le attività quotidiane come il lavoro, la scuola e le relazioni con gli altri, ma procurare danni al corpo e al cervello.
Lo stato di “allarme” costante tipico dell’ansia cronica induce nel nostro corpo una serie di reazioni che finiscono con l’interferire con il corretto funzionamento dei sistemi immunitario, metabolico e cardiovascolare; inoltre si possono verificare nel tempo dei veri e propri fenomeni di degenerazione neuronale in zone molto importanti per la memoria e l’orientamento spaziale come l’ippocampo.
Per fortuna, altri studi hanno evidenziato come questi fenomeni degenerativi siano reversibili, cioè facendosi aiutare e cambiando lo stile di vita si osserva un ritorno pressoché completo alla normalità, anche se non è ancora chiaro ai ricercatori quale sia l’effettivo “punto di non ritorno” e per questo saranno necessari ulteriori studi.