Fra le tante somatizzazioni dell’ansia, quella che si manifesta col vomito è una delle più fastidiose: se ne soffri, ecco cosa devi fare
Giuseppe scrive alla redazione di Riza Psicosomatica per parlare di un problema che lo disturba e lo imbarazza: “Ho 23 anni, ho da poco iniziato a lavorare, e mi sono accorgo che tutto ciò che riusciva a rendermi felice, adesso ai miei occhi non ha valore. Prima, anche il solo immaginarmi sotto le coperte durante una giornata fredda d'inverno mi dava serenità, mentre adesso vivo con ansia ogni momento: quando è forte, ho la sensazione di stare per vomitare, anche se non è mai capitato. Tuttavia, il timore che possa succedere sta limitando notevolmente la mia vita sociale. La paura di stare male mi costringe a non uscire di casa, se non per andare al lavoro, ma i timori non passano. Come faccio a tornare a vivere una vita serena?”
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Giuseppe si trova in una fase delicata della sua esistenza: l'adolescenza è finita, sta entrando nella vita adulta e questo ingresso lo spaventa. È il tempo delle scelte e delle responsabilità, ma anche dell'autonomia e della realizzazione di sé. Quale ricordo usa Giuseppe come esempio della sua felicità passata? Le coperte che riparano dal freddo in una giornata invernale richiamano l’idea di tana, di rifugio, di protezione: ma davvero Giuseppe ha bisogno di un riparo? È questo il "messaggio" di quell'ansia, che lo fa star male fino al sintomo del vomito? E se al contrario fosse il segnale che dentro di lui abita un'energia potente che vorrebbe uscire, ma che Giuseppe, vittima di supposti bisogni di accudimento, continua a non esprimere? Se nella sensazione del vomito si manifestasse anche il rifiuto della sua anima verso tutto quello che prima lo rendeva felice ma che, come afferma lui stesso, oggi non ha più valore? I disagi non arrivano per tormentarci, ma per riportarci sulla nostra strada. Giuseppe sembra avere nostalgia della felicità di ieri: ma è da quella che si deve liberare, perché appartiene a un mondo che non c'è più.
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Se ci fermiamo alla superficie, all'apparenza del disturbo, la fobia del vomito, o emetofobia è una forma di ansia sociale esasperata: dunque, la paura di stare male davanti agli altri svelerebbe il timore di non essere all’altezza dei compiti che la vita ci richiede. Ma quel che caratterizza il vomito è di essere qualcosa di dirompente, irrefrenabile, “aggressivo”. Ciò indica che, nel profondo, la vera paura di Giuseppe è che la sua vitalità possa finalmente emergere e con essa i suoi lati più autentici e incontrollabili. Così si chiude in casa, "torna piccolo", ma il malessere non diminuisce affatto. Alla sua anima non basta più la felicità “infantile” del rifugio, vuole la felicità “adulta” della vita vera e autentica; la sua resistenza sta creando un blocco che l'anima tenta di superare attraverso la sensazione di vomito, affermando anche la necessità di liberarsi dal passato e dalle sue suggestioni. Quanto prima Giuseppe prenderà atto dei suoi veri bisogni, tanto prima l'ansia e la paura del vomito lo abbandoneranno. Non gli occorre un rifugio, ma percepire bene tutta la paura che ha, senza cercare soluzioni o fughe. Percepire, cedere, attendere... e poi vivere! Così facendo, ritroverà da solo quella rotta che ora gli sembra smarrita.