È uno stato d’animo che nasce da un accavallarsi di ostacoli che ci fa sentire in una prigione esistenziale: Il cervello può fa scattare l’allarme con gli attacchi di panico
Sentirsi in trappola, senza via di fuga: è questo lo schema alla radice di un certo "tipo" di attacchi di panico. Non importa quale sia la situazione specifica: disoccupazione in età matura, matrimonio in crisi, un mare di debiti o altro. Quel che conta è la sensazione che sta alla base. Ci si sente “chiusi dentro”, come in un ascensore bloccato: una claustrofobia esistenziale, simile a quella per i luoghi chiusi e affollati in cui non si vede l’uscita.
Quando il cervello non vede più speranze o soluzioni, percepisce lo schema a prescindere dal contesto. Lo schema è il seguente: nessuna uscita = pericolo di vita. A quel punto mette in atto il meccanismo più potente: gli attacchi di panico, che sono al contempo l’espressione di uno stato di allerta estremo, come nell’imminenza di una catastrofe, e l’esplosione di un’energia che, bloccata nella mancanza di soluzioni, irrompe in tutte le direzioni (panico deriva dal greco pan, cioè tutto) come per liberarsi dal giogo delle impossibilità, come un urlo che squarcia il silenzio della disperazione senza uscita.
Ma perché arriva di colpo, dopo che per anni magari la persona ha sopportato la stessa situazione senza sintomi? La risposta è semplice: perché si è chiusa l’ultima porticina. Ad esempio una storia extraconiugale che finisce, l’estrema speranza in un lavoro che si spegne, o l’ultimo creditore che non aiuta più. La porticina si chiude, il malessere presente da tempo si concentra e in breve esplode.
Questo è un panico intenso, che non vuole sentire ragioni perché esprime un istinto di sopravvivenza. Non schiacciamolo con gli psicofarmaci o l’energia compressa in profondità si tradurrà in sintomi somatici anche molto seri nel giro di poco tempo.
È l’errore più grande che si possa commettere. Non dobbiamo confondere l’esplosione improvvisa con una stranezza psichiatrica. Sembra che il panico voglia "uccidere", ma in realtà è venuto a salvarci. Cominciamo perciò subito a legittimarlo respingendo al mittente le critiche colpevolizzanti.
Non si torna quelli di prima. O, almeno, non nella stessa, identica situazione. Qualcosa deve cambiare: facciamolo noi prima che ci pensi il cervello con attacchi di panico sempre più spossanti. Il cervello deve percepire una sola cosa: di non essere davvero in pericolo...