"La depressioneviene a chi se lo può permettere". È la frase con cui molte persone, fino a 20-30 anni fa, banalizzavano la sofferenza psicologica: esse vedevano, nella depressione una sorta di lusso, di privilegio, che si poteva concedere chi aveva tanti soldi e quindi non doveva sgobbare tutti i giorni per la pagnotta, chi sapeva di potersi appoggiare ad altri e delegare ad essi le incombenze più gravose e chi non aveva particolari preoccupazioni e quindi si creava delle "paturnie" perché non aveva la testa impegnata. È una visione vecchia e superata, figlia di una cultura che faceva fatica a riconoscere nel disagio psichico come fatto concreto. Ma anche se da allora sono stati fatti grandi passi nell'informare su cosa sia davvero la depressione e ora vi è molta più consapevolezza, questa visione non solo non è sparita ma continua a fare danni.
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Esiste ancora il marito che dice alla moglie: "Non capisco perché hai la depressione: hai tutto quello che vuoi!". C'è ancora il genitore che declama al figlio: "Se ti fermi ora vuol dire non hai spina dorsale". C'è l'amico che dice all'altro: "Pensa a chi sta peggio, a chi non ha da mangiare, a chi sta male veramente". C'è chi pensa che cadere in depressione equivalga a "non avere gli attributi". È una mentalità che molti applicano anche a se stessi. Sono in tanti a dire, fra sé e sé: "Vorrei fermarmi ma non posso permettermelo, sto male ma un vero uomo non molla mai, se mi faccio vedere depresso mi considereranno un fallito, un molle".
Ora, se da un lato è spesso necessario reagire con forza di fronte ad alcune situazioni della vita, dall'altro è proprio questo impedirsi di vivere i momenti di crisi ad alimentare la diffusione della depressione stessa. Va sottolineato con forza che la depressione, per quanto sgradevole e sofferta, è innanzitutto una risorsa del cervello, che attraverso di essa ci sta offrendo uno spazio di riposo, di riflessione, di ripensamento e di trasformazione che noi, travolti dallo stress quotidiano, siamo divenuti incapaci di dare a noi stessi.