È una subdola pressione psicologica che piano piano si insinua come un tarlo rendendoci insicuri, fragili e dipendenti: ma uscirne si può
Il termine “Gaslight” in inglese significa “luce emessa da una lampada a gas”, ma in psicologia significa annebbiare la mente, far "impazzire" qualcuno negando o manipolando fatti accaduti, in modo da far dubitare l’altra persona delle proprie facoltà mentali per renderla psicologicamente insicura. Quando pensiamo alla violenza o all’abuso, è facile pensare a qualcosa di fisico, o comunque manifesto e facilmente riconoscibile come le urla, ma non è sempre così; esistono forme di violenza che agiscono in modo sottile, nascosto, velato, e che come un tarlo scavano nella psiche profonda della persona che ne è vittima, provocando in lei profonde ferite psicologiche. È il caso del gaslighting.
Il gaslighting, o manipolazione psicologica maligna, è un forma di manipolazione psicologica, che si avvale di un comportamento subdolo e sottile per far sì che la persona dubiti della sua memoria, della sua percezione o del suo giudizio di realtà. Non si tratta, dunque, di una forma di violenza caratterizzata da una rabbia espressa direttamente, ma di un comportamento manipolatorio e vessatorio perpetrato ad esempio attraverso silenzi ostili, parole pungenti, verità negate. È un processo lento, ed è proprio questo modo di procedere che finisce per corrodere la stabilità mentale della vittima.
Il termine deriva dall’opera teatrale Gas Light del drammaturgo britannico Patrick Hamilton (nota negli USA come Angel Street) e dagli adattamenti cinematografici di Alfred Hitchcock “Rebecca – la prima moglie” del 1940 e “Angoscia” di George Cukor, del 1944. In entrambi i casi, la trama tratta di un marito che cerca di portare la moglie alla follia, manipolando piccoli elementi dell’ambiente, ad esempio affievolendo le luci delle lampade a gas, cambiamenti che la moglie nota, ma il marito le fa credere che sono solo frutto della sua immaginazione. Manipola piccoli aspetti della vita quotidiana fino a portarla ad impazzire.
Per difendersi da questo comportamento manipolatorio è utile conoscerlo, comprendere le strategie e i processi di cui si avvale. Chi mette in atto una manipolazione mentale crudele e maligna viene definito gaslighter: il suo obiettivo è annullare l’altra persona con cui è in relazione, la sua capacità di autonomia e responsabilità e ridurla ad uno stato di totale dipendenza fisica e psicologica. Il gaslighter costruisce il legame su dinamiche di potere e controllo psicologico, ma non si ferma qui: il suo raggio di azione è più ampio e infido. Per lui (o lei) non è sufficiente avere il controllo, ma cerca di ottenere il consenso della vittima, di ricevere la sua approvazione, annullare la sua capacità volitiva. Il suo disegno è rendere "migliore" la vittima secondo il suo punto di vista e ostacolare tutto ciò che si discosta dal suo progetto.
Il fenomeno del gaslighting non si verifica solo all’interno di relazioni sentimentali, ma anche nel contesto familiare, amicale o lavorativo. La manipolazione psicologica maligna si realizza in quelle relazioni caratterizzate da un disequilibrio tra le parti. Può essere presente nel rapporto tra genitore e figlio, quando il genitore si pone in modo autoritario o iperprotettivo limitando lo sviluppo della sua personalità. Anche quando il ragazzo cresce e il genitore continua a perpetrare un “ricatto emotivo”, facendolo sentire costantemente in colpa, subordinato alla sua volontà.
Per il suo scopo utilizza una serie di tecniche manipolatorie e ingannevoli creando un “gioco psicologico perverso”, che il gaslighter conduce per assoggettare a sé la vittima.
Il gaslighting si articola in tre fasi:
PRIMA FASE: DISTORSIONE DELLA COMUNICAZIONE | In questa fase il manipolatore alterna la modalità comunicativa, passerà dai silenzi ostili alle lusinghe alle provocazioni con lo scopo di ledere l’equilibrio della vittima, che data la sua abilità di corteggiatore e adulatore precedente sarà incredula |
SECONDA FASE: TENTATIVO DI DIFESA | La vittima, essendo continuamente oggetto di critiche negative e svalutanti, di accuse ingiustificate prova a di difendersi, cercando una giustificazione nelle parole e nelle azioni del manipolatore, si aggrappa sull’idea illusoria che ascolto e dialogo sono le armi vincenti per far cambiare il comportamento dell’abusante. |
TERZA FASE: DISCESA NELLA DEPRESSIONE | La vittima si convince che quanto il manipolatore afferma nei suoi confronti corrisponde alla realtà. Diventa insicura, vulnerabile, dipendente, alimentando la spirale di violenza e manipolazione in cui si trova che diventa “cronica”. La vittima si trova nel vortice della confusione mentale, non ha più certezza delle sue valutazioni, dei suoi giudizi, delle percezioni interne ed esterne e della sua capacità di percepire la realtà. Anche il ricordo del proprio vissuto personale si affievolisce, diventa sbiadito, labile e relegato a qualcosa di immaginato, non reale, gettando la persona nella sensazione di essere sbagliata, inadeguata, priva di ragione. La persona oggetto di questo grave abuso emozionale e psicologico finirà per giustificare il suo manipolatore, ne cercherà l’approvazione, lo idealizzerà e verrà confinata ad uno stato in cui sperimenta senso di colpa per avere sbagliato. La sua autostima si sgretola come un castello di sabbia. |
Il gaslighter, come molte persone che commettono abusi, soffre di un forte senso di vulnerabilità, non ha la capacità di identificare, gestire, esprimere le emozioni, non tollera che la persona che gli sta vicino lo critichi o sia in disaccordo con lui, quindi il suo obiettivo primario è distorcere la concezione che la persona ha di sé, renderla insicura dei suoi giudizi, incapace di prendere decisioni. Spesso è una persona con tratti narcisistici patologici, che fin da piccolo ha adottato strategie manipolatorie, ha grande esperienza, è in grado di anticipare le mosse della vittima e quindi sa fornirle messaggi positivi o negativi a seconda della direzione verso cui vuole portarla.
La prima arma per difendersi da questa pericolosa forma di abuso emotivo è prenderne atto, comprendere di trovarsi una relazione fatta di dominio e dipendenza, in una situazione di squilibrio di potere, in cui si è in uno stato di sottomissione, in cui viene calpestata la propria identità, la propria vitalità. Per farlo, occorre guardare con sguardo consapevole al proprio "lato" dipendente e insicuro, che tende a idealizzare l'altro nella certezza di averne bisogno, di non potercela fare da soli. Siamo tutti ANCHE insicuri e dipendenti, ma solo fino a che non lo ammettiamo in primo luogo a noi stessi. Bisogna abbandonare quel senso di colpa che si è instillato nel proprio modo di vedere le cose, orientando lo sguardo al proprio centro, alla propria interiorità per ricostruire pian piano, in qualche caso con l’aiuto di uno psicoterapeuta, la sicurezza e l’amore per se stessi che il manipolatore ha demolito, uscendo così da quella relazione che ci ha intossicato per ritrovare la propria essenza, quella radice dentro se stessi che se curata offre sempre una possibilità di rinascita.