Più rimugini sulla tua storia, più ne diventi prigioniero e l'evoluzione si blocca, ma in ogni momento puoi eliminare questa convinzione: ecco come
Molte persone sono convinte che i loro problemi attuali siano dovuti a traumi passati, difficoltà con i genitori, figure di attaccamento distaccate o al contrario assillanti. Soffrono perché pensano che quegli avvenimenti le abbiano condizionate per sempre. Si tratta di una convinzione da mettere in discussione. La testimonianza di Emanuela spiega perché:
“Sono Emanuela, grazie ai vostri suggerimenti sono uscita dall’ansia, e dal sentirmi ancora una bambina nonostante i miei 42 anni. Adesso, in particolare riesco a parlare in pubblico senza avere la tachicardia o incepparmi con le parole. Ho ascoltato e accettato quelle emozioni ogni volta che arrivavano, senza colpevolizzarmi, capendo di essere anche quella. C’è però ancora un problema che mi fa soffrire e che non mi aiuta a diventare la donna matura e interessante che vorrei essere. Il problema è mia madre: una donna mentalmente instabile che ha sempre avuto la presunzione di controllare la vita di tutti e che ancora si lamenta perché non sono sposata. Soffro e mi rattristo perché avrei sempre voluto una mamma diversa, più normale. A volte chiamarla è un peso, lo faccio lo stesso e poi sto male. Nonostante sia riuscita ad allontanarmi abitando a mille chilometri da lei e da un padre padrone con una mentalità chiusa, ancora mi condiziona. Perché? Sono single e felice di esserlo, ma vorrei essere più serena come le mie amiche.”
Il racconto di Emanuela inizia parlando di un grande successo; racconta di essere riuscita a superare ansie e paure, in particolare quella di parlare in pubblico, grazie alla tecnica della resa, una delle principali strategie psicoterapeutiche del modello proposto dall'Istituto Riza. Accogliendo il disagio senza colpevolizzarsi e senza cercare le cause nel mondo esterno, l'ha superato con naturalezza. La soluzione è stata arrendersi e - parole sue - accettare di essere "anche quello", anche la donna che in certe situazioni tornava un po' bambina e aveva paura. Più rifiutava questo lato di sé, più il timore di parlare in pubblico cresceva. Superando lo schema consueto, Emanuela ha potuto comprendere che quelle emozioni che voleva tanto eliminare, in realtà erano caratteristiche non accettate di se stessa, lati fragili che fanno parte del suo essere e che andavano accolte e integrate. La parola chiave del suo successo è stata: "accettazione".
Emanuela dice però di avere un altro problema e, nel descriverlo, ricade vittima di una convinzione psicologica simile a quella che l'aveva portata a bloccarsi in pubblico. Chiede aiuto circa il rapporto con la madre e afferma di essere triste per non aver avuto una madre diversa, più normale di quella che le è toccata in sorte. Non basta: è certa di non essere diventata quella donna matura e interessante che vorrebbe essere per colpa di questo rapporto difficile. Si tratta di una convinzione errata, esasperata dal confronto che Emanuela mette in campo con altre persone come le sue amiche. "Guarda Giulia, lei sì che è realizzata e questo grazie al rapporto sano che ha avuto con i suoi genitori, che a differenza dei miei, erano persone normali." Ecco un tipo di frase che probabilmente Emanuela ogni tanto si ripete, senza accorgersi che è proprio questa convinzione a farla star male, non la mamma e le sue manie di controllo.
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La domanda che dovrebbe farsi è un'altra: come sono riuscita a superare i disagi che m'impedivano di parlare in pubblico con scioltezza? Semplice, arrendendosi al fatto di averli. Perché con la madre dovrebbe essere diverso? Ribaltiamo il consueto punto di vista: Emanuela ha avuto quella madre (e quel padre), perché attraverso le difficoltà che ha dovuto affrontare con loro si potesse sviluppare la donna che era destinata a diventare. Se iniziasse a ragionare così, comprenderebbe che il lamento per la sua condizione non solo è inutile, ma la fissa nella condizione di vittima di un destino avverso. James Hillman, nella celebre opera "Il codice dell’Anima" afferma qualcosa che ribalta totalmente il punto di vista di chi ascrive al rapporto coi genitori le proprie presunte mancanze e difficoltà. Secondo il celebre psicoterapeuta e saggista americano, saremmo noi a scegliere i nostri genitori, proprio quelli, con quelle difficoltà e quei difetti.
Prima di venire al mondo, noi saremmo un’immagine innata, che portiamo poi dentro tutta la vita e quell’anima contiene il percorso da fare, così come il "destino" del frangipani o dell'oleandro è contenuto nei semi da cui originano. La teoria della ghianda afferma che esiste un’immagine che appartiene solo alla tua anima. Anche il filosofo Plotino diceva qualcosa di simile: siamo noi a scegliere non solo i genitori, ma anche il corpo, il luogo e le situazioni di vita adatte alla nostra anima. Se facciamo nostro questo punto di vista, quei genitori erano esattamente ciò che serviva allo sviluppo dell'essere unico che Emanuela era destinata a diventare. Adottare questa prospettiva è arduo per la mentalità contemporanea ma ne vale la pena, perché la posta in gioco qui è allontanarsi dall'idea che esista una normalità felice uguale per tutti e che certe avverse condizioni di partenza ci impediscano di raggiungerla.
Emanuela scrive che vorrebbe essere una donna più matura e indipendente, ma poi racconta di essere single e felice di esserlo. Non è certo diventata quel che i suoi genitori volevano, si è trasferita mille chilometri lontano da loro, ha compiuto scelte esistenziali lontanissime dalla mentalità di mamma e papà. Non le serviva una madre "normale", ma proprio quella che ha avuto. Grazie a questa esperienza difficile, la bambina che era è diventata la donna che ora è, autonoma. Il suo malessere non è dovuto alla mamma o al papà, ma alla convinzione che la sua vita sarebbe stata migliore se avesse avuto altri genitori. Abita da sola, in un altro luogo, si è sottratta al controllo della madre e alla mentalità retrograda del padre, ha superato da sola una difficoltà psicologica importante che le impediva di parlare in pubblico. Eppure non si va bene e si giudica: ecco cosa la fa soffrire, l'auto giudizio! Se davvero deve liberarsi di qualcosa, è di ogni idea preconcetta su se stessa e sulla sua storia sfortunata. Lei è molto altro, e quel che ha realizzato lo dimostra.
L'atteggiamento che dovrebbe adottare quando il rapporto con i genitori torna a far capolino nella sua mente è lo stesso che ha utilizzato con tanto successo nei confronti dell'ansia e della paura di parlare in pubblico, la cedevolezza. "Mi pesa chiamare mia madre, poi lo faccio e sto male. Le cose stanno così, contemplo questa contraddizione e non la commento." La sua anima non la crede insicura, immatura o poco interessante: le manda il disagio per farle abbandonare una volta per tutte il ruolo di figlia di genitori inadeguati dietro i quali ogni tanto ancora si nasconde. Vuole che Emanuela presti attenzione a tutto quello che fa e che è indipendentemente da loro, da ciò che pensano, dalla loro mentalità, dai tentativi di controllo, da tutto. E vuole che lei guardi i suoi lati insicuri, dipendenti, fragili così come sono, separandoli dalla presunta genesi familiare. Riguardano lei, lei soltanto: Emanuela sa già cosa deve fare perché lo ha già fatto con successo. Allontanandosi da qualunque convinzione su come dovrebbero essere rapporti sani con madri e padri, potrà finalmente guardare con occhio più lucido la sua esistenza e trovare in se stessa le risorse per evolvere ulteriormente verso la donna che deve ancora diventare.
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