Tutti siamo “carichi” di pensieri artificiali e luoghi comuni: abbandonarli e osservarsi con uno sguardo nuovo fa scoprire lati profondi e sconosciuti
Prova a farti questa domanda: quando fai le tue scelte, quando parli con i tuoi colleghi, quando ami, quando educhi i figli, sei davvero te stesso? Ti preoccupi di pensare, di dire e di fare le cose giuste. Ma giuste per te o per l’esterno? Quanto c’è di tuo e quanto è un compromesso? È ovvio, nessuno è un’isola, i compromessi sono necessari. Ma fino a un certo punto. Perché gli altri sono uno specchio e spesso sono loro a rimandarti un immagine distorta della tua identità: quello che gli altri pensano di te, quello che tu credi pensino, quello che tu pensi di te stesso finiscono per diventare una cosa sola. Pensi quello che vuole il mondo, ti adatti alle circostanze.
Identità di rimbalzo
Rimanendo sempre con gli stessi pensieri finisci per aderire a questa identità. Che può diventare un tormento, perché ti crea problemi che non esistono, non sono tuoi, sono di quell’identità: essere amata in un certo modo, avere un lavoro di un certo tipo… C’è una sola via per uscire da questo circolo: imparare a cavarsela senza quell’identità fittizia, liberatene.
Non devi “lavorare su di te”
Siamo noi stessi quando non facciamo fatica: nelle cose che ci vengono naturali, ciò che riusciamo a fare senza averlo imparato, nelle azioni spontanee che nascono non sappiamo come. Esattamente il contrario dell’idea che ci si debba conoscere, che si debba sezionare la psiche alla ricerca di “ciò che siamo”, che si debba “lavorare su di sé”. “Prima devo conoscermi, poi saprò come cambiare”. Niente di più sbagliato. Ciò che puoi conoscere di te non è ciò che conta. Quelle che credi siano tue caratteristiche sono solo la punta dell’iceberg, sono solo il riverbero di pensieri superficiali: sotto si nasconde un mondo sconosciuto e prezioso, si cela il seme, che sta al buio. E il seme si manifesta in modo spontaneo, in una continua fioritura: i tuoi pensieri possono rallentarlo, mai aiutarlo.
Correggersi è perdersi
Anche senza volerlo ognuno di noi fa continuamente buoni propositi. Ad esempio ti dici: “Questo non deve succedere più, devo essere migliore”. Vogliamo eliminare i difetti, essere bravi: un bravo genitore, una brava figlia, una brava moglie. Mangiare il giusto senza ingrassare, essere ottimisti ed equilibrati. Non fare male a nessuno. Non avere desideri inopportuni. Non provare sentimenti “sbagliati”. Il problema è che nessuno è così, ma così facendo certi pensieri e certe emozioni, quelli che rifiuti, scivolano in profondità, nell’inconscio. Trattandoti come uno scolaretto da correggere, non fai che riempire le zone oscure della mente mentre tu ti “assottigli” fino a sparire.
Osserva i tuoi stati interiori
“È passato un anno ma sto ancora male perché mi ha lasciato”; oppure “mia madre non mi ha amato e questo ha segnato la mia vita”. Sono frasi comuni. In realtà però non stai male per i motivi che credi: l’anima non obbedisce alle leggi di causa ed effetto. Ciò che per il pensiero è un male forse è un’occasione preziosa che l’anima stava cercando per fare un salto in avanti. Prova allora a togliere l’oggetto ai tuoi stati. Ad esempio non dire: “Mi manca lui”, ma: “Sento la mancanza”. Punto. Sento un’emozione – rabbia, tristezza, ansia – e non la attribuisco a una causa. La percepisco, mi affido a lei. Dove vorrà portarmi? Cosa vuole farmi scoprire? La tua parte profonda, spontanea, ne sa più dei tuoi ragionamenti. Fidati di lei!