Gli antichi rancori ci fanno soffrire, ma in genere ce l’abbiamo con un avversario immaginario: la vendetta parla di noi e così aiuta a conoscerci meglio
“Un giorno un bellicoso feudatario si recò dal saggio Hakuin. Con i suoi soldati irruppe nella sala di meditazione e domandò imperiosamente: “Esistono inferno e paradiso?”. Hakuin rispose con un’aria infastidita: che cosa vuoi sapere tu, con quella faccia? Il feudatario, infuriato, sguainò la spada e la sollevò sul capo di Hakuin. Il maestro osservò: ecco, questo è l’inferno”.Il feudatario capì e, rabbonito, rinfoderò la spada. “E questo è il paradiso”, concluse Hakuin. Il feudatario si inchinò”.
Il feudatario, in questo aneddoto Zen, sente violata la sua autorità per il tono sprezzante usato nei suoi confronti e per la mancata risposta. Ma il suo moto immediato di rabbia, trasformatosi in impulso incontenibile di vendetta, si dissolve quando il monaco gli fa intuire cheinferno e paradiso non sono altro che momenti vissuti nell’interiorità. E che dunque tali stati d’animo possono essere da lui utilizzati per meglio comprendere se stesso. Per interrogarsi su che cosa di insoddisfacente si aggroviglia intorno alla sua anima (l’inferno) e le impedisce di gustare i veri frutti della tranquillità interiore (il paradiso).
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Non di rado però questo bisogno di rivalsa trova radice nella contrarietà suscitata da un’ingiustizia subita. In questo senso il desiderio di vendetta è a volte un impulso di giustizia. Un impulso che, quando si esaurisce in uno sfogo verbale di rabbia o in una punizione puramente fantasticata, crea una situazione di parità tra l’offeso e l’offensore; ed è proprio su tale situazione che possono rinascere rapporti di collaborazione. Non sempre, però, la ruggine formata dall’aggressività repressa permette alla chiave del nostro cuore di aprire le porte alla reciproca comprensione. Talora come già affermava il famoso filosofo Bacone, si trasforma in un assillo che sfiora incessantemente i nostri sensi con le unghie del rancore: “L’uomo che accarezza l’idea di vendetta continua a esasperare le proprie ferite senza permetter loro di chiudersi e di sanarsi”.ù
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L’idea di vendetta si tramuta così in un’ossessione tormentosa, forse perché non siamo in grado di elaborare l’astio alimentato dalla nostra permalosità, come nel caso del feudatario, o forse perché siamo erroneamente convinti che la vendetta renda consapevole il nostro nemico di ciò che ci deve e dell’ingiustizia che ci ha fatto. Comunque sia, nutrire il cuore delle fiamme silenziose del desiderio di vendetta ci rende infelici in quanto, fissando il nostro sguardo sulle ferite del passato e su ciò che è esterno a noi, ci impedisce di vivere pienamente e liberi da inutili rancori il presente. Per uscire da questo circolo vizioso possiamo inventarci, per esempio, un modo per interloquire con il nostro “nemico”: una lettera o una telefonata per motivare senza acredine le nostre rimostranze. Se ben impostata, la comunicazione ci trasporterà al di sopra delle nubi, lasciando che l’uragano si sfoghi sotto di noi…
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