I ricordi spiacevoli non arrivano per “mettere le cose a posto” nel passato, quelli belli non sorgono perché ne si abbia nostalgia: entrambi ci preparano al meglio le sfide di domani
Sentite questa storiella:
“C’era un uomo molto superbo che non voleva categoricamente accettare nessuna cosa, buona o cattiva che fosse, se non da se stesso; ma quando ebbe bisogno dell’oblio per dimenticare alcuni ricordi dolorosi, non poté farcela da solo e provò ad evocare gli spiriti. Essi vennero, udirono la sua richiesta e infine dissero: è proprio questa l’unica cosa che non sta in nostro potere”.
In questo aneddoto narrato dal grande filosofo tedesco Nietzsche quell’uomo, pur di scacciare i brutti ricordi, è disposto a fare qualsiasi cosa. In realtà non ha compiuto l’unica cosa che sarebbe stato opportuno realizzare per rifugiarsi entro le spesse mura dell’oblio: permettere ai brutti pensieri di varcare la porta dell’anima, senza giudicarli e senza compatirsi.
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Lo sforzo di cacciare i ricordi dolorosi viene puntualmente ricambiato con la loro trasformazione in una ferita sempre aperta, capace di marchiare dolorosamente il futuro. Ma anche di ottenebrarlo con le ombre di un cupo pessimismo. Non c’è nulla che ci imprima così vivacemente qualcosa nella memoria come il desiderio di dimenticarla. L’uomo della storia che avete letto poche righe sopra non ha compreso che, come precisa il grande pensatore indiano Jiddu Krishnamurti: “La memoria è sempre ferma al passato, ma viene riportata in vita nel presente da una sfida. La memoria non ha vita propria; rinasce quando si trova davanti a una sfida”». Una sfida a modificare ciò che non va nel presente e di cui vuole renderci consapevoli per aiutarci a superarlo. Non a caso i cattivi ricordi giungono per stimolare il nostro intuito a riappropriarsi di quel tocco leggero con cui spesso siamo soliti affrontare i nostri problemi. Un tocco smarrito talora tra le ansie, ma che nessuna razionalità potrà mai recuperare.
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La memoria non opera in modo casuale, dal momento che chiunque non porta con sé un semplice diario delle esperienze, quanto piuttosto la sua interpretazione del passato, nelle cui pieghe si annida un progetto misterioso, che riguarda la nostra vita, il senso di continuità della nostra coscienza, il sentimento della nostra identità personale, concreta. Insomma, compito dei ricordi è quello di offrirci delle ali invisibili per dirigerci sulla via della serenità interiore. Per questa ragione è bene non forzare quell’intreccio spontaneo di oblio e ricordo che ci offre la memoria. Se cerchiamo di snaturarlo rovistando tra i ferri vecchi di mille dettagli che ci fanno ancora soffrire ovvero idealizzando (anche se “al negativo”) un tempo che non è più, finiremmo per stringere il presente nelle spire di un passato non più attuale. Pertanto, se qualcosa della nostra vita pregressa non si allunga nella forma del ricordo, non preoccupiamoci: vuol dire che quel qualcosa ha esaurito la sua potenza creatrice. E che quindi la sua luce non può irradiarsi sul presente.