Spesso pensiamo che ci sia un unico modo per affrontare le situazioni, ma questa convinzione spegne l’istinto: il modo giusto è quello che viene spontaneo
Chi non vorrebbe una vita perfetta? Al massimo ci si divide sul contenuto di questa perfezione: per alcuni contano ricchezza e lusso, per altri il risultato dev’essere libertà e indipendenza. Ma c’è un tratto comune in questa idea: la presenza di un ideale cui aspirare. Purtroppo, tutte le mete che inseguiamo sono collettive, ossia obiettivi uguali per tutti, mentre le caratteristiche personali, i momenti difficili, l’incertezza e l’ombra sono visti come difetti e come tali devono essere eliminati. Ad esempio sul lavoro l’obiettivo è sistemarsi seguendo un percorso ben tracciato e lineare, evitando perdite di tempo o deviazioni; in amore si punta a trovare la “persona ideale”: quella dell’ambiente giusto, con le caratteristiche giuste. Con sé stessi l’obiettivo è raggiungere rapidamente un equilibrio interiore e la tranquillità, saper affrontare le difficoltà con serietà e coerenza. La famiglia infine deve essere ovviamente felice e occorre essere padri o madri moderni e capaci di crescere figli sani, sportivi e sicuri di sé. Sembra tutto giusto, non fosse che manca qualcosa. Cosa? Tu: è la tua unicità a creare il modo giusto (per te) di fare e di vedere il mondo...
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Ne è un esempio il caso di Matteo, un ragazzo di 37 anni con un figlio di tre che rimugina di continuo: “Devo essere un buon papà, devo stare di più con lui. Ho letto che è importante giocare molto assieme. Non ci gioco abbastanza!” Matteo non si accorge che darsi un obiettivo con un figlio, cercare il modo giusto di educarlo, si rivela il contrario del farlo crescere sereno. Voler essere un buon papà a tutti i costi crea una situazione ansiogena. Implicitamente il suo atteggiamento, quando stanno insieme, parlerà così: “È vero che sono un buon papà? Dimmelo che sono un buon papà. Dipende da te che io sia un buon papà!”, come se fosse il piccolo a doversi preoccupare di lui. Ma crescere vuol dire potersi staccare dal papà senza troppi sensi di colpa: così invece Matteo gli sta solo complicando la vita. Matteo ha una sua idea precostituita di “amore tra figli e genitori” e si preoccupa di rispettarla: così complica un processo che, a lasciarlo svolgere spontaneo, funzionerebbe per conto proprio. Non accorge che il modo giusto di educare è accogliere le proprie emozioni di padre, come vengono...
La paura più grande? Sfigurare, restare indietro, essere fuori dal gruppo, sentirsi falliti o diversi. Per evitare questa prospettiva siamo disposti a tutto. Come se in realtà a muoverci fosse più il terrore, che non la passione. Così, tutto è spostato sull’esterno: consegni agli altri le chiavi della tua felicità. Vincolare la vita al raggiungimento di obiettivi rigidi e prefissati può produrre una serie di effetti psicologici nefasti. Meglio rifletterci...