Le origini della musica come terapia si perdono nella notte dei tempi ma oggi la ricerca scientifica precisa quali “suoni” facciano più bene ai nostri organi…
In tutte le culture antiche musica e medicina erano in pratica una cosa sola: il sacerdote medico (o lo sciamano) riteneva che il mondo fosse costituito secondo principi musicali e che la vita del cosmo, ma anche quella dell'uomo, è dominata dal ritmo e dall'armonia. Sapeva anche che la musica ha un potere incantatorio sulla parte “irrazionale” del cervello e che è capace di procurare benessere; nei casi di malattia può ricostituire l'armonia perduta.
Il primo trattato di musicoterapia risale al 1700: da allora si son moltiplicati gli studi da parte dei medici che ponevano l’accento sul ruolo della musica sulla regolazione dei ritmi corporei (battito cardiaco, respirazione, ritmo sonno-veglia). Già da tempo si sa che le famose note della «Nona Sinfonia» di Beethoven hanno su chi le ascolta un effetto rilassante, permettono alla frequenza del battito cardiaco di rallentare e la pressione arteriosa si abbassa.
Un recente studio dell’Università di Oxford presentato al congresso della British Cardiovascular Society di Manchester ha confermato ulteriormente i dati di precedenti studi ponendo l’accento, in particolare, sulla differenza diimpatto sul corpo umano di alcuni brani musicali. I cardiologi hanno esaminato i lavori scientifici che negli ultimi anni hanno studiato il ruolo della musica sulla pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. Hanno quindi verificato varie ipotesi, che coinvolgono sei diversi tipi di musica, su un piccolo gruppo di studenti.
Da quanto emerso, la musica classica classica che segue un particolare ritmo (10 secondi) ha avuto il maggiore beneficio riducendo nel tempo i valori di pressione sanguigna. Mentre, brani di musica classica con un ritmo più veloce (tra cui un estratto dalle “Quattro Stagioni” di Vivaldi), non hanno avuto un effetto su cuore e sangue. Secondo Peter Sleight, autore dello studio e cardiologo dell’Università di Oxford, con questo studio si è raggiunta una migliore comprensione di come le note di brani classici molto famosi e soprattutto determinati ritmi possono avere precisi effetti sul cuore e sui vasi sanguigni. Sono però necessari ulteriori studi per poter ridurre lo scetticismo, ancora imperante, sul ruolo terapeutico della musica e poterla introdurla, a tutti gli effetti, come una metodica terapeutica complementare negli ospedali e nelle case di cura.