L’autostima è uno stato naturale di totale accettazione delle proprie caratteristiche: scopri come aumentarla e far crescere la fiducia in te stesso
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Nel linguaggio comune usiamo la parola “stima” nel senso di misurazione del valore (“Devo far stimare un quadro e i gioielli di famiglia”) e anche come apprezzamento (“Lo stimo come persona, quindi lo apprezzo e mi fido di lui”). Di conseguenza, per il linguaggio comune, l’autostima è la misurazione - cioè appunto la “stima” - del proprio valore come persona che ognuno fa di sé, per stabilire se merita o meno l’apprezzamento degli altri.
Ovviamente non si tratta di una misurazione precisa, ma piuttosto di una valutazione di valore o di disvalore molto vaga, sfumata, una percezione di sé profondamente legata a fattori emotivi e psicologici, attraverso i quali vengono filtrati l’aspetto fisico, l’intelligenza, la capacità sociale e così via.
Una bassa autostima è quindi, in questa accezione, l’idea di non avere valore per gli altri, di non poter essere apprezzato perché non in possesso delle qualità necessarie (bellezza, intelligenza, successo, sicurezza, assertività e così via).
Cosa non funziona in questa definizione comune? Se l’autostima è la misurazione che ognuno fa di sé per stabilire se merita o meno l’apprezzamento altrui, in pratica ciò che la muove è il desiderio di piacere agli altri. Ma come si può avere autostima se fin dall’inizio siamo dipendenti dal giudizio altrui? A chi dobbiamo piacere, a noi stessi o a chi ci circonda? Non dovrebbe l’autostima essere un processo che si svolge solo dentro di noi?
In apparenza è così: la valutazione dell’autostima dovrebbe svolgersi tutta dentro noi stessi (è un auto-apprezzamento). Ma in pratica dipende fin dall’inizio dallo sguardo degli altri (mi interessa essere apprezzato dagli altri). Apprezzare se stessi sembra quindi una conseguenza del sentirsi apprezzati dagli altri. Ma attenzione: anche “sentirsi apprezzati dagli altri” è in realtà una percezione interna, un “sentirsi”, appunto, che non dipende dal reale apprezzamento che gli altri ci rimandano, anzi, spesso prescinde totalmente da esso. Possiamo sentirci disprezzati o apprezzati in modo del tutto irrealistico e scollegato dalla realtà, perché il processo si svolge comunque in noi stessi.
Risultato: la definizione comune di autostima si basa su un assurdo circolo vizioso secondo cui apprezzare se stessi è una conseguenza del sentirsi apprezzati dagli altri, ma nello stesso tempo sentirsi apprezzati dagli altri è una conseguenza dell’apprezzare noi stessi. Così non si può uscirne.
Se affrontiamo l’autostima attraverso ragionamenti di questo tipo, essa rimane un mistero incomprensibile: il pensiero razionale - che si basa su causa/conseguenza, azione/reazione, problema/soluzione, mezzi/fini - utilissimo in molti campi, non ha alcuna presa sulla percezione che abbiamo di noi stessi, che come abbiamo visto è vaga e sfumata. In sostanza ragionare sulla propria autostima chiedendosi se sia alta o bassa o elaborando strategie per migliorarla è del tutto inutile.
Ecco perché il Metodo Riza non solo intende l’autostima in modo del tutto diverso da quanto detto finora, ma si rivolge anche a risorse completamente differenti rispetto al pensiero e al ragionamento, e sviluppa strumenti terapeutici il cui fine è molto diverso da “correggere il carattere” o “migliorare le prestazioni”, ad esempio il silenzio, la contemplazione, la percezione di sé, le immagini.
Come abbiamo visto, molti pensano che avere autostima consista nel sentirsi apprezzati, magari perché più forti e migliori degli altri: una specie di auto-convinzione circa i propri mezzi che alimenterebbe la fiducia in se stessi. In realtà nella psiche non esiste un’energia senza il suo opposto, quindi non c’è forza senza debolezza: quando sei troppo unilaterale e vuoi essere “solo” forte, il risultato è il fallimento.
In pratica, se vuoi somigliare a un ideale di durezza che ti sei messo in testa, per ottenere questo risultato cercherai di controllarti e di limitare la tua spontaneità, che andrebbe in un’altra direzione. Ma così l’unico risultato che otterrai sarà di allontanarti dal tuo naturale modo di essere, che è la vera base dell’autostima e quindi di aumentare la fragilità, che si affaccerà nella tua vita proprio quando non te l’aspetti, facendoti sentire ancora più debole.
Questa è una legge della vita e della psiche, che Carl Gustav Jung, riprendendo il termine dal filosofo greco Eraclito, ha definito “enantiodromia”, che in greco significa “corsa nell’opposto”: ogni cosa che appare in un modo, contiene il suo opposto, e prima o poi lo produrrà. Come scrive Jung: «Questo fenomeno caratteristico [l'enantiodromia] si verifica quasi universalmente là dove una direttiva completamente unilaterale domina la vita cosciente, così che col tempo si forma una contrapposizione inconscia altrettanto forte».
Quando pensi di essere troppo debole, quindi, vuol dire che stai imitando un modo di essere forte che non ti corrisponde e così stai sabotando da solo la tua vera forza, che probabilmente ha caratteristiche del tutto diverse da quelle banali della durezza, dell’assertività o di una certa arroganza. In pratica ti senti debole perché non stai vedendo il tuo lato forte, che invece dovresti solo lasciar emergere a modo suo, non nel modo che ti sei messo in testa.
Piuttosto che cercare di assomigliare a modelli assoluti bisogna lasciare che il proprio mondo interiore, con le sue tendenze specifiche e uniche, prenda spazio, senza cercare di cambiarlo, di modificarlo o di ammaestrarlo. Autostima non è essere forti e sicuri, ma sapere di essere abitati da tanti volti anche opposti e lasciar loro spazio.
In sintesi: secondo il Metodo Riza, l’autostima è una condizione naturale, che tutti possono quindi attivare, in cui ogni lato di sé e del proprio carattere viene accolto senza che nessuno di essi venga giudicato o valutato in base a criteri di misura esterni, e senza voler in alcun modo correggere o modificare alcunché di se stessi. Questo stato di totale accoglimento è la radice stessa di una percezione completa di sé, su cui si fonda la fiducia in se stessi.
Ciò significa che nulla in noi va migliorato o corretto, soprattutto non bisogna intervenire su quelli che riteniamo difetti: sono tali solo per lo sguardo superficiale dell’Io, che misura tutto in base a criteri comuni. Ma è proprio questo giudizio a distruggere l’autostima della persona, che appena si giudica e pretende di correggersi innesca un conflitto interiore senza fine.
Quando il giudizio viene finalmente sospeso e la persona inizia a “stare con tutti i lati di sé”, limitandosi a percepire quando si manifestano, ad accoglierli come ospiti preziosi, a contemplarli, allora può realizzare se stessa e quei difetti si trasformano in risorse, in caratteristiche, si rivelano come tendenze innate. Così si dispiega quella che Hillman definisce “ghianda ”, quell’insieme di caratteristiche uniche che costituiscono il seme, la matrice di ogni individuo, presente fin dal concepimento e che si sviluppa lungo tutto l’arco della vita della persona.
Secondo il Metodo Riza esistono quindi tutta una serie di atteggiamenti da evitare e di frasi da non dire a se stessi, perché producono disistima, così come ci sono invece comportamenti, parole ed esercizi che ci aiutano a diventare consapevoli della nostra naturale autostima.
Per far crescere l’autostimaesistono metodi efficaci, ma soprattutto bisogna evitare alcuni errori e comportamenti molto comuni e automatici, che tuttavia non fanno altro che farci precipitare nella disistima.
È il punto di partenza di tutti gli errori da non fare con se stessi. Se per aumentare l’autostima punti sull’essere approvato, applaudito, ammirato, firmi la fine della tua indipendenza. L’autostima al contrario è stare con tutto ciò che ti caratterizza, specialmente con le tue contraddizioni. Non hai bisogno dell’approvazione di nessuno, ma attenzione: nemmeno della tua! Perché approvare o rifiutare sono atti dell’Io e del ragionamento, che come abbiamo visto sono del tutto inefficaci nelle questioni della psiche e del suo benessere.
Mitizzare caratteristiche come la convinzione assoluta nelle proprie idee, l’assertività, la determinazione, la durezza, il comportamento sicuro di sé fino all’arroganza o il sentirsi forti e migliori di tutti gli altri, è molto pericoloso. Tutte queste condizioni si possono presentare a tratti, per momenti, e in quel caso sono naturali. Se le trasformi in un’identità fissa indossi una maschera e diventi artificiale, falso. Se poi cerchi di imitarle senza riuscirci, ti condanni all’infelicità.
Se pensi che per aumentare l’autostima sia necessario correggere ciò che sei, vuol dire che così come sei non vai bene, cioè pensi che ci siano in te caratteristiche sbagliate: pensi magari di essere troppo timido, o troppo scontroso, o poco brillante, o troppo emotivo e così via. Ma come puoi costruire la fiducia in te stesso sull’idea di essere sbagliato? Non è possibile. È come se la mano destra iniziasse una guerra contro la sinistra e invece di sollevare assieme un peso, lo facessero cadere su un piede.
I difetti non vanno “accettati”, magari con rassegnazione: semmai è l’idea stessa che siano difetti a essere sbagliata. Sono caratteristiche, tendenze innate, che a volte non si sono ancora manifestate appieno nel modo corretto proprio perché ci lottiamo contro. È proprio perché l’io, imitando modelli di perfezione esterna, le condanna come difettose che si ripresentano a volte come fastidi o come autosabotaggi. Ma spesso sono proprio le parti di sé con cui siamo in combattimento quelle più autentiche: quando le percepiamo, le guardiamo senza giudicarle e le accogliamo, si possono trasformare in grandi qualità.
Esiste un mantra collettivo per cui, per aumentare l’autostima, si devono dire a se stessi cose come: “Puoi farcela, devi essere più forte, non devi pensare a cose negative, pensa positivo, devi migliorare, devi crederci di più!”. Devi, devi, devi: autoconvincersi significa solo dare ordini a se stessi, trattarsi in sostanza come uno schiavo. “Sei forte, sei bravo, hai grandi qualità”: sono tutte parole, non a caso, che si dicono agli animali domestici quando svolgono bene un compito, tipo alzare la zampa a comando o portare indietro un bastone che abbiamo lanciato loro. “Dai, su, devi essere il più bravo, sei il migliore!”.
Con i cani si dice che servano sia il bastone sia la carota, un ordine e un croccantino… Ma come puoi pensare di aumentare l’autostima se tu per primo tratti te stesso come un cagnolino da ammaestrare? I cani obbediscono, sono addomesticati. Come puoi pensare che dandoti ordini e addomesticandoti, smetterai di sentirti debole? Tutto ciò che c’è in te è perfetto così com’è, non perché tu lo giudichi buono o cattivo in base a modelli esterni. La rosa non ha bisogno di dirsi niente per fare la rosa, la fa e basta. E il lupo non va dallo psicologo per avere conferma del fatto che “sì, merito di essere amato”. La rosa e il lupo fanno se stessi ed è più che sufficiente. Anche tu devi fare te stesso.
Per far crescere l’autostima dobbiamo aprirci a un nuovo atteggiamento mentale: il rapporto con noi stessi non deve essere caratterizzato da giudizi e autocritiche, ma dalla consapevolezza che tutto quanto si affaccia in noi è importante e prezioso.
Siamo tutti convinti che ci siano emozioni positive (gioia, amore, empatia) e negative (rabbia, gelosia, invidia), e che si possa facilmente distinguere tra pregi e difetti. Di conseguenza giudichiamo giuste e sbagliate intere parti di noi stessi, perché non coincidono col giudizio comune. Questo atteggiamento non aumenta l’autostima, la distrugge, e va eliminato alla radice. Non si deve mai giudicare nulla di ciò che si affaccia dal mondo interno, né commentarlo, tantomeno collegarlo a una causa, specialmente se situata nel passato (“Sono insicuro perché… non mi hanno voluto bene da piccolo”) o provare a scacciarlo o a eliminarlo. Ogni stato interiore arriva prima di tutto per essere guardato e percepito e così allarga la nostra consapevolezza di noi stessi.
Lo sguardo interiore attento, la percezione senza giudizio, la semplice constatazione diventano contemplazione, ad esempio: “Sono arrabbiato, percepisco la mia rabbia in modo puro, senza giudicarla sbagliata, senza chiedermi perché c’è, senza legarla a un evento e senza volerla scacciare, le faccio spazio dentro di me, la osservo e la tengo con me”. Così l’emozione, che è per sua natura impermanente come le onde del mare, nutre la coscienza e le permette di integrare i diversi contenuti. Molti disagi psicologici arrivano proprio perché ci proibiamo di guardare certi aspetti del mondo interno, così che la loro energia torna in un secondo tempo sotto forma di disturbo.
Conseguenza diretta del non giudicare i propri stati interiori è non volerli cambiare, correggere, tantomeno “migliorare”. Ogni progetto di miglioramento vuole intervenire su aspetti di sé collocati al di sotto della coscienza, in punti del mondo interiore del tutto inaccessibili al pensiero. Un’azione da “apprendista stregone”, spinta solo da modelli di perfezione superficiali, che produce danni enormi. Chi dice che un pensiero disturbante, un’emozione dolorosa, un blocco psicologico non siano messaggi di energie profonde che vogliono solo essere ascoltate? Un atteggiamento accogliente che sta con ciò che c’è, permette loro di emergere ed evolvere, portando completezza ed evoluzione, e quindi autostima, dove un conflitto interno stava bloccando la dinamica della psiche.
“So chi sono, so cosa fa per me, io sono fatto così”: sono parole da bandire dal mondo interno. Ogni definizione blocca la tua evoluzione psichica e ti fissa a un ritratto che molto spesso è stato confezionato dagli altri, non da te. Spesso è la voce degli altri ad attaccarci addosso etichette e definizioni, magari enfatizzando certe tendenze a discapito di altre, pure presenti, o trasformando delle caratteristiche passeggere in una maschera perenne.
La maggior parte di ciò che siamo ci è sconosciuta e tale deve restare: in questo modo può creare ogni giorno il nuovo, la rinascita, la fioritura e nutrire la nostra autostima. La parte che ci è nota di noi è solo quella già emersa. Appoggiarsi solo su quella limita enormemente le nostre potenzialità e ci trasforma in noiose marionette, capaci solo di ripetere ciò che sappiamo già e trasformarlo in abitudine.
Quando dici “sono timido”, devi sapere che in te c’è anche una parte sfrontata che aspetta solo di affacciarsi. Quando pensi di essere “molto sensibile”, devi sapere che anche la freddezza è una parte fondamentale del tuo essere. Il mondo interiore non è unilaterale e monodimensionale, anzi: in esso ci sono tutti gli opposti. Gioia e tristezza, dolcezza e rabbia, indipendenza e gelosia e tutti gli altri stati interiori sono presenti come un’orchestra. In base al carattere alcuni di essi prevalgono, ma nessuno è presente in modo assoluto. Autostima è stare con tutti questi stati interiori.
Ecco perché, quando emergono comportamenti che “non sono da te”, che non controlli, che ti stupiscono e a volte ti disturbano, è una buona cosa, perché vuol dire che altri volti si stanno affacciando. Inutile combatterli, piuttosto inizia a far loro spazio. Ti renderanno più completo, meno fragile, più fiducioso in te stesso.
Raccontarsi reciprocamente malumori, o dare e ricevere consigli non aiuta a uscire dai disagi, anzi peggiora la situazione. Il lamento crea un’atmosfera mentale stagnante, tossica, e in breve tempo diventa una forma di auto-consolazione, specie se l’altro risponde ai nostri lamenti con i suoi. Compiangersi a vicenda aumenta la disistima e mettere in campo atteggiamenti nuovi diventerà molto più difficile. Chiedere consigli, poi, è del tutto inutile: nessuno può fare ciò che ti spetta al posto tuo e nessuno può sapere cosa fa per te. L’abitudine a chiedere o dare suggerimenti rivela piuttosto l’incapacità di stare nel tuo spazio interiore e di coltivarlo, nutrendo davvero l’autostima.
Quali sono le condizioni più creative di tutte? Quella del seme che sta germinando, o del feto in gestazione. Nel silenzio e nel buio della terra e del grembo materno, creano un nuovo essere e lo fanno come va fatto, in modo perfettamente rispondente al loro disegno originario: lo creano senza bisogno di pensieri tortuosi, senza domande inutili, senza ragionamenti superflui, senza preoccuparsi di piacere o essere accettati.
Non c’è niente di più simile all’autostima di questo processo. Il silenzio è come una tana in cui ci rigeneriamo, in silenzio facciamo azioni speciali, semplici, ma piene di valore, come scegliere un vestito che ci piace, truccarci, mettere un profumo, coltivare un interesse o una passione… Se avvolgi nel silenzio i gesti minimi della quotidianità, li trasformi in rituali di benessere e fai sbocciare davvero la tua autostima.