Un like, un applauso, un “bravo”: per molti il "buon" giudizio degli altri è come una droga. Sono certi di non poterne fare a meno ma è solo una convinzione...
"Una persona che credevo amica ha scritto che non ho gusto nel vestire. So che dovrei fregarmene invece sono disperata! E mi odio per essere così vulnerabile! Dopo tutti i miei sforzi e i miei successi, basta una frase cattiva, un giudizio come questo per farmi star male per giorni". Gisella non parlerebbe mai così in pubblico, ci tiene alla sua immagine, ma questo è ciò che ripete a se stessa da quando sul suo profilo Instagram è comparso un commento maligno a un suo selfie.
Ha migliaia di fan, è seguita, ammirata e ha quasi 30 anni. Ma a quanto pare non sono sufficienti schiere di ammiratori adoranti e tutte le conferme di questo mondo, se basta un commento negativo per risvegliare la sua insicurezza e mandarla al tappeto.
Gisella, però, non è la protagonista dell’ennesimo accorato articolo sui danni dei social network: è una persona normale, come tante. Una donna che soffre esageratamente il giudizio altrui, al punto da star male e da vedere condizionata buona parte della sua vita. E come molti impara sulla sua pelle la lezione più dura: le conferme esterne, il giudizio anche migliore non basteranno mai. È qualcosa dentro di lei a non essere tranquillo, a proprio agio, rassicurato.
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I sintomi della sindrome sono noti: ti senti piccolo di fronte a giganti, sempre sotto esame, inadeguato, hai paura di come ti vedono, ti senti addosso gli occhi di tutti al punto da esaminarti con il loro stesso sguardo e da chiederti continuamente cosa pensino di te. Nei momenti di lucidità ti rendi conto che, con ogni probabilità, nessuno o quasi pensa a te, non sei al centro dei loro pensieri: come ovvio, ciascuno pensa per lo più a se stesso, il che può sembrare triste, però è indubbiamente liberatorio. Ma quei momenti durano poco e torna la paura di non “essere” abbastanza, torma la paura del giudizio. Ma cosa vuol dire essere "abbastanza"? Abbastanza bella, abbastanza intelligente, abbastanza brillante, abbastanza bravo come genitore o come marito o moglie, abbastanza di successo... E bella per chi, di successo per chi, e in base a quali criteri? Ciò che per qualcuno è bello per altri è brutto, e quindi sarebbe meglio trovare un proprio gusto piuttosto che dipendere da quello altrui.
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"Sono abbastanza bravo?". Forse la paura del giudizio altrui consiste nel vivere con questa domanda conficcata in testa. Quante cose hai fatto per ottenere un “bravo”? E quante per il timore di non riceverlo? "Non vali niente, sei un incapace!": a qualcuno è capitato di sentirselo dire, persino dalle persone amate o dai genitori. Non è necessario aver vissuto un’infanzia difficile: molti si ritrovano col terrore degli altri pur provenendo da famiglie dolci e sereni...
"Cosa penseranno di me? Valgo qualcosa? Ho fatto bene?». Fino all’esplicito e paradossale: "Dimmi che sono stato bravo", che è a ben vedere la richiesta di essere ingannato da un pietoso "Sì, sei bravo", frase che implori per non sentire il dolore del fallimento o per non fare i conti con l’incertezza. Eppure è fondamentale sentire l’impotenza. "Questo non lo so fare" è una constatazione vitale, fa crescere.Il fallimento è terapeutico: quando ci arrocchiamo in un’identità fittizia l’anima che ci fa crollare, in modo da far uscire la nostra vera natura. Anche questo, come vedremo, è un indizio prezioso che ci aiuterà nel percorso per sfuggire per sempre alla paura del giudizio altrui.
La salute, l'autostima e la felicità arrivano solo quando smettiamo di ascoltare critiche e giudizi
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